L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mercato del lavoro: nei prossimi cinque anni assisteremo a una profonda trasformazione, con professioni che spariranno, altre che evolveranno e nuove che nasceranno. A livello mondiale, milioni di impieghi amministrativi, finanziari e manifatturieri rischiano di essere automatizzati, mentre ruoli creativi, assistenziali e manageriali risultano più protetti. In Italia, l’impatto sarà simile, con alcune peculiarità: saranno particolarmente colpiti impiegati amministrativi, bancari e operatori di servizi routinari.
Al contrario, settori come sanità, management, turismo di qualità e artigianato mostreranno una maggiore resilienza, grazie al loro alto valore umano e creativo. Per non essere travolti dal cambiamento, sarà cruciale puntare su formazione continua e aggiornamento digitale, potenziando sia competenze tecnologiche (AI, analisi dati, machine learning) sia abilità trasversali come empatia e creatività. È una sfida complessa, ma anche un’opportunità imperdibile: quella di costruire un futuro lavorativo più umano, dinamico e stimolante grazie all’intelligenza artificiale.
Riepilogo Articolo - Luca Cazzaniga
Uno sguardo globale: l’IA rivoluziona il mercato del lavoro
L’intelligenza artificiale sta automatizzando mansioni ripetitive e prevedibili, mettendo a rischio in primis i lavori d’ufficio routinari. Molti ruoli amministrativi e di segreteria sono indicati come quelli destinati a un declino più rapido a causa dell’IA (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum).
Ad esempio, impieghi come gli addetti all’inserimento dati o i cassieri e sportellisti bancari rientrano tra le professioni che potrebbero ridursi drasticamente nei prossimi anni (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum). Il World Economic Forum prevede infatti la perdita di oltre 7,5 milioni di posti di data entry entro il 2027, più di qualsiasi altra singola categoria professionale (60+ Stats On AI Replacing Jobs (2024)).
In generale, secondo un’analisi Goldman Sachs, fino a 300 milioni di posti di lavoro a livello globale (circa il 9% del totale) potrebbero essere automatizzati dalle nuove tecnologie AI (60+ Stats On AI Replacing Jobs (2024)) (60+ Stats On AI Replacing Jobs (2024)), colpendo settori come la scrittura di testi, l’elaborazione di dati e altre attività codificabili. Di fronte a questi numeri, non sorprende che quasi il 40% dei lavoratori mondiali tema che la propria occupazione diventi presto obsoleta a causa dell’IA (60+ Stats On AI Replacing Jobs (2024)).
Le dinamiche di sostituzione tendono a seguire uno schema chiaro: più un compito è standardizzato e ripetitivo, maggiore è la probabilità che un algoritmo o un robot possa svolgerlo in modo più efficiente. Chatbot avanzati già oggi riescono, ad esempio, a gestire compiti di assistenza clienti e call center, mentre algoritmi contabili elaborano fatture e bilanci con minima supervisione umana. Nel settore manifatturiero, la robotica guidata dall’AI minaccia ulteriori tagli: si stima che entro il 2025 fino a 2 milioni di lavoratori industriali potrebbero essere rimpiazzati da sistemi automatizzati (60+ Stats On AI Replacing Jobs (2024)).
I colletti bianchi non sono immuni: la capacità delle IA generative di produrre testi e codice sta sollevando interrogativi sul futuro di impieghi come traduttori, correttori di bozze, programmatori junior e perfino analisti finanziari, dove parte dell’analisi potrebbe essere svolta dall’AI. In sintesi, su scala globale i settori più colpiti dall’automazione nei prossimi cinque anni saranno quelli dove il lavoro consiste prevalentemente in attività ripetibili e basate su regole, senza un elevato bisogno di creatività, empatia o intervento manuale fine.
(The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum) Figura 1: Classifica dei ruoli professionali in più rapida crescita e in più rapido declino a livello globale secondo il World Economic Forum (Future of Jobs Report 2023). A sinistra sono elencati i 10 lavori emergenti più richiesti (tra cui spiccano specialisti in AI e machine learning, esperti di sostenibilità e analisti di business intelligence); a destra i 10 lavori destinati a calare più rapidamente (in gran parte impieghi d’ufficio come sportellisti bancari, addetti postali, cassieri, data entry e segretari amministrativi) (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum). Queste proiezioni evidenziano come l’IA stia ridisegnando il panorama occupazionale, penalizzando i ruoli amministrativi routinari mentre alimenta la domanda di competenze tecnologiche e analitiche avanzate.
Settori meno colpiti a livello mondiale
Non tutte le professioni sono ugualmente vulnerabili all’automazione: alcuni settori mantengono un vantaggio competitivo umano che l’IA fatica a replicare. In generale, i lavori che richiedono interazione sociale, creatività, pensiero critico o presenza fisica sul campo saranno i meno colpiti.
Studi di McKinsey confermano che l’automazione avrà un impatto minore sui ruoli che implicano gestione di persone, applicazione di competenze specialistiche e interazioni sociali, ambiti in cui per ora le macchine non riescono a eguagliare le performance umane (Jobs of the future: Jobs lost, jobs gained | McKinsey).
Ad esempio, insegnanti, psicologi, assistenti sociali e caregiver si basano su empatia, comunicazione e adattabilità situazionale – qualità difficilmente riproducibili da un algoritmo. Anche molti lavori manuali specializzati rimangono relativamente al sicuro nel breve termine: impieghi nell’edilizia, nell’impiantistica, nei trasporti e nelle consegne a domicilio richiedono abilità fisiche, problem-solving immediato e adattamento ad ambienti imprevedibili.
Non a caso, mentre gli impiegati d’ufficio diminuiscono, si prevede che i settori dei corrieri e delle costruzioni continueranno a crescere e ad assorbire personale umano (AI & the Workforce News): l’IA da sola non può posare un mattone su un cantiere né consegnare un pacco in un condominio senza supporto robotico avanzato (ancora lontano su larga scala). Inoltre, ruoli di coordinamento e leadership – ad esempio manager aziendali, dirigenti di progetto, professionisti della strategia – appaiono più resistenti alla sostituzione: queste posizioni richiedono decisioni complesse, creatività strategica e responsabilità etica, aspetti per cui l’IA può essere un assistente ma difficilmente un rimpiazzo totale.
Anche a livello settoriale si delineano differenze: comparti come la sanità e l’istruzione dovrebbero risentire meno dell’automazione nel prossimo futuro, proprio per l’alto tasso di interazione umana insostituibile. Le attività cliniche e assistenziali necessitano del tocco umano – un algoritmo può aiutare nella diagnosi, ma il rapporto medico-paziente e l’assistenza infermieristica richiedono empatia e adattabilità. In definitiva, i fattori protettivi che rendono alcuni settori meno vulnerabili all’IA sono la necessità di giudizio umano, la complessità non ripetitiva delle mansioni, il bisogno di creatività originale e di competenza emotiva. Finché le macchine non sapranno “essere umane”, chi svolge lavori fondati su queste qualità godrà di una maggiore tenuta occupazionale.
Competenze richieste: adattarsi all’era dell’AI
Di fronte a questo cambiamento epocale, aggiornare le proprie competenze è fondamentale per restare competitivi. Globalmente, le aziende stanno puntando sulla formazione e riqualificazione dei lavoratori: il 77% delle imprese prevede programmi di reskilling/upskilling per il proprio personale, così da sfruttare al meglio gli strumenti di IA invece di subirli passivamente (Study: Within 5 Years, 41% of Companies Will Cut Jobs Due to AI).
In parallelo, una quota significativa di datori di lavoro cerca nuovi talenti: quasi il 70% delle aziende intende assumere specialisti con competenze AI (ad esempio data scientist, sviluppatori di machine learning), e il 62% punta a profili in grado di collaborare efficacemente con l’IA (Study: Within 5 Years, 41% of Companies Will Cut Jobs Due to AI). Si delinea dunque un mercato dove verranno premiati sia i “costruttori” di IA (chi sa sviluppare, programmare e migliorare i sistemi intelligenti) sia i “facilitatori”, ovvero lavoratori capaci di integrare l’IA nel proprio dominio lavorativo. In termini di skill individuali, le capacità più richieste combinano hard skills tecnologiche e soft skills umane.
Il World Economic Forum indica pensiero analitico e creatività come le competenze in maggiore crescita da qui al 2027, insieme alla padronanza di IA e Big Data (Future of Jobs: These are the most in-demand core skills in 2023 | World Economic Forum). Saper interpretare dati, utilizzare algoritmi e comprendere il funzionamento delle nuove tecnologie diventerà essenziale in molti ruoli, dal marketing alla finanza. Allo stesso tempo, paradossalmente, proprio l’avanzare delle macchine rende ancor più preziose le abilità squisitamente umane: leadership, comunicazione, lavoro di squadra e intelligenza emotiva rimangono centrali (Future of Jobs: These are the most in-demand core skills in 2023 | World Economic Forum). In un mondo automatizzato, chi saprà coordinare persone, pensare in modo critico e innovativo, e adattarsi con flessibilità al cambiamento avrà un vantaggio competitivo. Non a caso, si stima che entro il 2027 ben 6 lavoratori su 10 avranno bisogno di formazione aggiuntiva (Future of Jobs: These are the most in-demand core skills in 2023 | World Economic Forum): la velocità con cui la tecnologia evolve supera la capacità attuale dei lavoratori di aggiornarsi, creando un urgente fabbisogno di formazione continua. Per affrontare questa sfida, stanno nascendo molteplici strategie di riqualificazione: corsi online specializzati, bootcamp intensivi in data science e coding, programmi di formazione aziendale incentrati sull’AI (spesso in collaborazione con università) e percorsi di lifelong learning incentivati dai governi.
Ad esempio, l’Unione Europea ha riconosciuto questa necessità e con l’AI Act (approvato nel 2023) ha introdotto l’obbligo per le aziende di formare i dipendenti sull’uso dell’intelligenza artificiale (L’obbligo di formazione sull’intelligenza artificiale: una rivoluzione nel mondo del lavoro introdotta dall’AI Act dell’Unione Europea – W.Training). Secondo un rapporto della Commissione Europea, entro il 2030 oltre il 50% delle professioni richiederà competenze digitali avanzate, con l’IA che giocherà un ruolo centrale in molti settori (L’obbligo di formazione sull’intelligenza artificiale: una rivoluzione nel mondo del lavoro introdotta dall’AI Act dell’Unione Europea – W.Training).
Ciò significa che lavoratori di ogni ambito – dalla sanità alla manifattura – dovranno acquisire almeno le basi per interagire con sistemi di AI, pena il rischio di rimanere esclusi dalle opportunità di lavoro più qualificate. In definitiva, la parola chiave è adattabilità: investire sul proprio capitale umano, imparando nuove competenze tecniche (programmazione, analisi dati, utilizzo di strumenti AI) e potenziando quelle trasversali, sarà la strategia vincente per navigare nel mercato del lavoro dei prossimi cinque anni. Chi saprà reinventarsi e aggiornarsi costantemente non solo mitigherà il rischio di automatizzazione, ma potrà anche cogliere i nuovi ruoli che l’IA sta creando.
Opportunità emergenti a livello mondiale
Accanto ai lavori che scompaiono, l’IA sta generando nuovi bisogni e nuove professioni, delineando un panorama occupazionale fatto non solo di sostituzioni ma anche di creazione di valore.
A livello globale, il saldo tra posti persi e creati potrebbe persino risultare positivo nel medio termine: il World Economic Forum prevede la creazione di ~170 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030, a fronte di circa 92 milioni destinati a scomparire, soprattutto in ruoli amministrativi (AI e lavoro, il futuro è nella formazione: cosa dicono i dati Wef – Agenda Digitale). Le nuove opportunità fioriscono in particolare nei settori tecnologici e scientifici. Si assiste a un boom di richieste per specialisti in AI e machine learning (che dovrebbero crescere del +40% entro il 2027) e per analisti di dati e scienziati del dato (+30-35% in cinque anni) (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum).
Figure come gli analisti di sicurezza informatica (+31% la domanda prevista) o gli ingegneri fintech sono sempre più centrali in un’economia digitalizzata (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum). Queste professioni emergenti – dagli esperti di Big Data ai digital transformation specialists – potrebbero aggiungere milioni di nuovi impieghi qualificati a livello mondiale (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum). Oltre all’ambito strettamente tecnico, l’IA alimenta crescita anche in altri campi: ad esempio, la sostenibilità ambientale integrerà molte soluzioni AI per l’energia pulita e la gestione efficiente delle risorse, creando ruoli per specialisti in sostenibilità supportata da AI.
Nel campo della creatività e media, l’IA generativa apre spazi a professionisti capaci di usare questi strumenti (si pensi ai designer di prodotti con AI, o agli editor multimediali che collaborano con algoritmi creativi). Persino nei trasporti, l’avanzata di veicoli autonomi sta generando domanda per tecnici specializzati nella gestione di flotte AI-driven. In sintesi, le aree in crescita grazie all’IA comprendono sia i lavori core tech (sviluppo e manutenzione di sistemi AI) sia ruoli ibridi dove competenze tradizionali vengono potenziate dall’uso dell’intelligenza artificiale. Importante è sottolineare che l’IA aumenta la produttività e questo può liberare risorse per nuovi progetti e servizi: in molti casi, invece di eliminare del tutto la presenza umana, la tecnologia sposta i lavoratori verso mansioni a maggior valore aggiunto.
Ad esempio, automatizzare compiti di routine amministrativa consente alle aziende di reimpiegare persone in attività di analisi, consulenza e sviluppo commerciale, difficilmente realizzabili da una macchina. L’impatto netto sul lavoro dipenderà quindi da quanto efficacemente le economie sapranno creare nuovi ruoli e riqualificare i lavoratori in uscita dai settori in declino. Finora la storia economica suggerisce ottimismo: ogni rivoluzione tecnologica (dal telaio meccanico ai computer) ha sì eliminato occupazioni, ma ne ha create di nuove spesso in numero maggiore.
L’era dell’IA potrebbe replicare questo schema, purché si investa nelle competenze e nelle giuste politiche. A livello globale, si intravedono già segnali positivi: imprese che nascono attorno a servizi resi possibili solo dall’AI (dalla medicina personalizzata all’agritech di precisione), startup e interi ecosistemi economici nuovi. Una ricerca recente indica che il 50% delle aziende si aspetta che l’AI porti crescita occupazionale (contro il 25% che prevede cali) (The jobs most likely to be lost and created because of AI | World Economic Forum), segno di una fiducia diffusa nelle potenzialità generative dell’intelligenza artificiale. In definitiva, le opportunità emergenti più promettenti saranno per quei lavori in cui umani e AI collaborano: specialisti che sanno sfruttare l’AI come amplificatore delle proprie capacità, invece di esserne sostituiti, diventeranno i professionisti più ricercati del futuro prossimo.
Focus Italia: l’impatto dell’IA sul mercato del lavoro italiano
Professioni a rischio in Italia
Anche in Italia l’onda dell’automazione si fa sentire, benché con alcune peculiarità locali. Un recente focus Censis-Confcooperative stima che nei prossimi anni circa 15 milioni di lavoratori italiani – praticamente più della metà degli occupati – saranno toccati dagli effetti dell’IA sulle proprie mansioni (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Di questi, ben 6 milioni di posti potrebbero essere soppressi o sostituiti direttamente dalla tecnologia, mentre altri 9 milioni di lavoratori dovranno integrare l’IA nelle proprie attività quotidiane (senza perdere l’impiego, ma adattandosi a nuove modalità operative) (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Le professioni più a rischio nel nostro Paese ricalcano in parte il trend globale: si tratta soprattutto di lavori “intellettuali” ma altamente automatizzabili, ovvero basati su procedure standard ripetibili. Tra questi compaiono contabili, ragionieri e tecnici bancari, figure tradizionalmente impiegate in attività numeriche e amministrative che algoritmi e software evoluti possono eseguire con maggiore efficienza (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Anche statistici, operatori di back-office, addetti alla gestione paghe rientrano tra i profili potenzialmente sostituibili, secondo il rapporto. È interessante notare che, in Italia, sono proprio i lavoratori con livello d’istruzione medio-alto a risultare paradossalmente più esposti alla sostituzione tecnologica: tra coloro che svolgono professioni ad alto rischio-IA, il 54% ha almeno un diploma e il 33% è laureato (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Ciò si spiega col fatto che molti impieghi d’ufficio qualificati (impiegatizi, finanziari, amministrativi) erano finora appannaggio di diplomati e laureati, ma ora sono nel mirino dell’automazione. Al contrario, tra i lavoratori a basso rischio spesso troviamo mansioni manuali o di servizio alla persona svolte da personale con qualifiche inferiori. Un altro dato significativo è l’impatto di genere: in Italia le donne risultano più vulnerabili degli uomini all’automatizzazione. Il 54% dei lavoratori ad alta probabilità di sostituzione è donna (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info), il che riflette la maggiore presenza femminile in settori impiegatizi e di servizi ripetitivi (si pensi alle segreterie, al back-office amministrativo, alla contabilità), proprio quelli più facilmente automatizzabili. Inoltre le donne costituiscono una quota ampia (57%) anche dei ruoli in cui l’IA si integrerà come complemento (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info), come ad esempio negli uffici legali o nelle risorse umane, dove l’IA aiuterà ma non rimpiazzerà del tutto.
Questa dinamica rischia di accentuare il divario di genere nel lavoro, se non accompagnata da politiche attive di tutela e riqualificazione. Occorre sottolineare che non tutte le professionalità “colte” sono condannate: il focus segnala che avvocati, magistrati, dirigenti, psicologi, archeologi rientrano tra le figure in cui l’IA sarà perlopiù complementare (Intelligenza artificiale, ecco i lavori che rischiano di scomparire: bancari, ragionieri (e notai) | Corriere.it) (Intelligenza artificiale, ecco i lavori che rischiano di scomparire: bancari, ragionieri (e notai) | Corriere.it). In questi casi l’automazione potrebbe alleviare parte del lavoro (ricerca giurisprudenziale per i legali, analisi di dati per manager e psicologi), ma la decisione finale e il giudizio critico rimarranno umani.
Dunque l’Italia vede uno scenario a doppia faccia: da un lato un consistente numero di impieghi tradizionali minacciati (soprattutto nel terziario amministrativo e nei servizi finanziari), dall’altro una fetta di professioni qualificate dove l’IA si inserirà come strumento di supporto più che come rimpiazzo totale. La sfida, per il nostro Paese, sarà gestire questa transizione accompagnando i lavoratori a rischio (milioni di persone, come visto) verso nuovi ruoli o nuove competenze, in modo da evitare disoccupazione tecnologica su larga scala.
Settori meno colpiti in Italia
Nel contesto italiano, alcuni settori presentano caratteristiche tali da renderli meno vulnerabili all’automazione nel breve periodo. Uno studio prospettico stima che entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorative in Europa sarà automatizzato, ma con forti differenze tra settori (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info). In particolare, in Italia (in linea con l’Europa) i comparti considerati meno soggetti all’automazione sono la sanità e il management aziendale (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Ciò significa che medici, infermieri, operatori sanitari da un lato e manager, dirigenti e quadri dall’altro, vedranno probabilmente una minore incidenza di sostituzione tecnologica rispetto ad altri impieghi. Le ragioni sono intuitive: nel settore sanitario il fattore umano è cruciale – pensiamo all’empatia richiesta nell’assistenza ai pazienti, alla complessità etica di decisioni cliniche o semplicemente alla manualità in interventi e cure. L’IA può aiutare con diagnosi e analisi di immagini mediche, ma difficilmente può rimpiazzare il rapporto di fiducia medico-paziente o l’operatività di un infermiere al letto del malato.
Analogamente, nei ruoli manageriali la capacità di leadership, di prendere decisioni strategiche e di coordinare team eterogenei rimane una prerogativa umana difficilmente automatizzabile. Questi fattori proteggono in parte tali settori dall’ondata di sostituzione tecnologica prevista altrove. All’estremo opposto, lo studio conferma che i settori a maggiore automazione potenziale in Italia sono quelli legati a compiti ripetitivi: la ristorazione (dove il 37% delle attività potrebbe essere automatizzato) e il supporto d’ufficio/amministrativo (36,6%), seguiti dalle attività di produzione manifatturiera (36%) (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info). Ciò suggerisce che camerieri, cassieri, addetti alle catene di montaggio e impiegati di segreteria sono tra i più esposti agli effetti dell’IA, mentre medici, infermieri e manager lo sono meno. Da notare, però, un aspetto peculiare del caso italiano: la nostra economia sconta un certo ritardo nell’adozione dell’IA rispetto ad altri Paesi avanzati. Nel 2024 solo l’8,2% delle imprese italiane utilizzava sistemi di intelligenza artificiale, contro il 19,7% della Germania e una media UE del 13,5% (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Questo divario tecnologico – particolarmente marcato nei settori del commercio e della manifattura, dove l’Italia adotta l’IA meno della media europea (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info) – fa sì che, almeno nel brevissimo termine, alcuni comparti nazionali siano meno toccati semplicemente perché meno digitalizzati. In altre parole, la bassa penetrazione dell’IA nel tessuto produttivo italiano potrebbe ritardare l’impatto sostitutivo in certe industrie tradizionali (artigianato, piccoli esercizi commerciali, pubblica amministrazione locale), offrendo una protezione temporanea ai lavoratori.
Tuttavia, questo ritardo è un’arma a doppio taglio: se da un lato mitiga gli shock occupazionali immediati, dall’altro rischia di frenare la competitività e l’innovazione. Settori come l’agroalimentare di qualità, il turismo esperienziale o il lusso artigianale – pilastri dell’economia italiana relativamente poco automatizzabili per natura – potrebbero comunque beneficiare dell’IA in modi complementari (ad esempio per il marketing o la gestione efficiente), mantenendo però al centro la creatività e la personalizzazione umana. In sintesi, in Italia i baluardi contro la sostituzione tecnologica sono rappresentati dai lavori con alto contenuto relazionale e creativo e da quei comparti dove il valore aggiunto risiede nelle capacità umane insostituibili (dal prendersi cura di una persona al prendere decisioni strategiche). Salvaguardare e potenziare questi ambiti sarà cruciale per mantenere l’equilibrio nel mercato del lavoro italiano durante la transizione digitale.
Competenze necessarie per adattarsi (Italia)
Per l’Italia, la transizione verso un mercato del lavoro 4.0 pone una questione pressante: come colmare il divario di competenze digitale e preparare i lavoratori alle nuove sfide. Attualmente, il nostro Paese soffre di un ritardo sia nell’offerta di competenze ICT sia nella loro domanda da parte delle imprese.
Ben l’83% delle aziende italiane dichiara difficoltà a reperire lavoratori con competenze nell’uso dell’IA (L’impatto dell’IA sui posti di lavoro è minimo, solo il 3% delle aziende italiane licenzia) – una percentuale persino superiore alla media globale (72%).
Questo dato evidenzia una carenza di figure specializzate in grado di progettare, gestire o semplicemente interagire con i sistemi di intelligenza artificiale. Le cause sono strutturali: l’Italia è ultima in Europa per numero di laureati in discipline ICT e ingegneristiche, il che limita il bacino di esperti disponibili (Lavoro e intelligenza artificiale, le nuove professioni del futuro: ecco quali sono | Sky TG24).
Inoltre, molti lavoratori attualmente in forza non hanno avuto, durante la loro formazione, opportunità di apprendere competenze digitali avanzate. Diventa quindi prioritario investire in formazione e upskilling su larga scala. Esempi di percorsi formativi emergenti includono master e corsi di specializzazione in AI e data science (spesso lanciati dai nostri atenei negli ultimi anni), bootcamp intensivi per sviluppatori e analisti dati, e iniziative di formazione continua all’interno delle imprese.
Diverse grandi aziende italiane stanno avviando academy interne per formare dipendenti su machine learning, analisi dati e gestione di progetti digitali. Sul fronte istituzionale, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destina risorse significative alla digitalizzazione e alla formazione: ad esempio, finanzia programmi per diffondere competenze digitali tra i lavoratori della Pubblica Amministrazione e per formare giovani nei settori tecnologici chiave.
A livello europeo, come accennato, entrerà in vigore l’obbligo (AI Act) per le imprese di garantire adeguata formazione AI ai dipendenti (L’obbligo di formazione sull’intelligenza artificiale: una rivoluzione nel mondo del lavoro introdotta dall’AI Act dell’Unione Europea – W.Training), misura che coinvolgerà naturalmente anche le aziende italiane e che potrebbe dare un forte impulso all’upskilling diffuso. In pratica, un impiegato di banca dovrà familiarizzare con nuovi software di analisi finanziaria automatizzata, un tecnico di fabbrica dovrà saper convivere con robot collaborativi programmando interventi e risolvendo problemi che le macchine da sole non gestiscono, un medico dovrà imparare a leggere i suggerimenti diagnostici di un algoritmo mantenendo però la supervisione critica.
Questo significa che le competenze chiave in Italia per restare occupabili saranno da un lato quelle tecniche-digitali (alfabetizzazione AI, gestione dati, basi di programmazione, utilizzo avanzato dei software di settore) e dall’altro quelle trasversali già discusse a livello globale (capacità di adattamento, problem solving, comunicazione e lavoro in team multidisciplinari). Per i lavoratori a rischio è fondamentale attuare strategie di riqualificazione professionale (reskilling): un operaio di linea può essere riqualificato come operatore di sistemi robotici, un contabile come analista di dati aziendali, un addetto customer service come esperto nella gestione di chatbot e analisi delle richieste clienti. Esempi virtuosi iniziano a vedersi: alcuni enti formativi e regioni promuovono corsi brevi per tecnici di manutenzione AI nelle fabbriche 4.0, o per marketing specialist capaci di usare l’IA per analizzare i trend di mercato. Il coinvolgimento delle imprese è cruciale: in Italia le PMI spesso non hanno risorse per formare internamente il personale, ed è qui che interventi pubblici e partnership con università/ITS (istituti tecnici superiori) possono fare la differenza. In definitiva, per l’Italia la questione delle competenze è il nodo centrale: senza un salto di qualità nel capitale umano rischiamo di avere da un lato posti vacanti in ambito high-tech e dall’altro disoccupati non riqualificati provenienti dai settori in crisi.
La buona notizia è che la consapevolezza sta crescendo, e con essa gli sforzi: “solo la formazione salverà il lavoro dall’intelligenza artificiale” è diventato un mantra condiviso, a indicare che l’investimento sulle persone – sulle loro competenze digitali ma anche sul potenziamento di creatività e ingegno tipicamente italiani – sarà la chiave per trasformare una potenziale crisi in un’opportunità di rilancio.
Opportunità emergenti in Italia
Sebbene si parli spesso dei ritardi italiani sul fronte tecnologico, l’avanzata dell’IA offre anche al nostro Paese nuove traiettorie di crescita occupazionale. Man mano che le imprese italiane aumentano l’adozione di soluzioni AI, cresce la domanda di professionisti specializzati in grado di svilupparle, adattarle e governarle. Già entro il 2025-2026, quasi un’azienda italiana su cinque (19,5%) prevede di investire in beni e servizi legati all’IA (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info).
Questo trend sarà trainato soprattutto dal settore informatica e high-tech (dove oltre il 55% delle imprese programma investimenti in AI) e dalle grandi imprese più strutturate (Lavoro e intelligenza artificiale: il futuro dell’occupazione in Italia | Informatore.info). Di conseguenza, assisteremo a un incremento di posizioni per sviluppatori di algoritmi, ingegneri del software AI, data scientist e consulenti esperti di trasformazione digitale. I poli tecnologici in Italia – come il nascente centro europeo di supercalcolo e AI a Bologna – fungono da catalizzatori per nuove figure professionali di alto profilo. Non solo ICT puro: anche settori tradizionali del Made in Italy possono generare opportunità grazie all’IA. Ad esempio la manifattura avanzata: l’integrazione di robot e sistemi intelligenti nelle fabbriche sta creando bisogno di tecnici specializzati nella manutenzione e programmazione di robot industriali, figure ibride tra l’informatico e il perito meccanico. Nell’agricoltura di precisione, campo in cui l’Italia ha eccellenze, servono agronomi capaci di usare droni e AI per monitorare coltivazioni, aprendo ruoli come specialista in analisi di dati agronomici.
Anche nel turismo, l’IA applicata ai servizi personalizzati potrebbe far nascere agenzie specializzate in esperienze aumentate dall’AI, con esperti che combinano hospitality e tecnologia. Un segnale incoraggiante è che l’IA sta portando alla nascita di professioni prima inesistenti anche nel contesto italiano. Recenti analisi evidenziano alcune nuove figure emergenti: ad esempio l’AI ethicist, ossia il responsabile etico dell’IA, che avrà il compito di garantire che gli algoritmi siano utilizzati in modo trasparente, legale ed equo (Lavoro e intelligenza artificiale, le nuove professioni del futuro: ecco quali sono | Sky TG24).
Oppure il manager delle infrastrutture IT di nuova generazione, incaricato di gestire in maniera integrata reti, cloud e sistemi AI all’interno di un’azienda (Lavoro e intelligenza artificiale, le nuove professioni del futuro: ecco quali sono | Sky TG24). Altre professioni in via di affermazione comprendono lo sviluppatore di IA (AI developer), focalizzato sulla progettazione di sistemi di machine learning; il consulente “legal tech”, un avvocato esperto di diritto applicato alle nuove tecnologie digitali; e il privacy engineer, specialista che progetta soluzioni tecniche rispettose delle normative sulla privacy e sicurezza dei dati (Lavoro e intelligenza artificiale, le nuove professioni del futuro: ecco quali sono | Sky TG24).
Questi ruoli, quasi fantascientifici fino a pochi anni fa, iniziano a comparire anche nelle offerte di lavoro italiane man mano che imprese e pubblica amministrazione affrontano temi come l’etica dell’AI, la cybersecurity e la compliance normativa nell’era digitale. Va detto che l’Italia, ad oggi, sconta un ritardo anche nello sviluppo di nuove imprese AI-driven: abbiamo solo 0,68 startup nel campo dell’IA per milione di abitanti (fanalino di coda in Europa) (Lavoro e intelligenza artificiale, le nuove professioni del futuro: ecco quali sono | Sky TG24). Ciò indica che molte di queste nuove opportunità sono ancora embrionali e vanno incentivate con politiche mirate (finanziamenti, sostegno alle startup, collegamento ricerca-impresa).
Eppure, proprio questo margine di miglioramento significa che esiste un ampio spazio di crescita futura: ogni startup o progetto AI che nasce può creare posti di lavoro altamente qualificati, trattenere talenti nel Paese e generarne di nuovi. Inoltre, l’impatto economico positivo atteso dall’AI in Italia suggerisce che le opportunità non si limiteranno ai ruoli tech. Si stima che l’adozione diffusa dell’IA potrebbe far crescere il PIL italiano di +1,8% in dieci anni (pari a 38 miliardi di euro aggiuntivi) (Intelligenza artificiale, ecco i lavori che rischiano di scomparire: bancari, ragionieri (e notai) | Corriere.it), sintomo che l’automazione intelligente può aumentare la produttività e liberare risorse. Questo incremento di ricchezza potrà tradursi in nuovi investimenti e dunque nuova occupazione: ad esempio, se una banca adotta l’AI per ridurre costi operativi, potrebbe reinvestire i risparmi in servizi finanziari innovativi, aprendo posizioni per consulenti specializzati o sviluppando nuovi prodotti (e quindi nuovi ruoli per gestirli e promuoverli). In conclusione, per l’Italia l’IA rappresenta sì una minaccia per alcuni lavori tradizionali, ma anche un volano di crescita per chi saprà coglierne le potenzialità. I prossimi cinque anni vedranno probabilmente una trasformazione del panorama occupazionale italiano: alcune professioni andranno scomparendo, molte altre cambieranno pelle e altre ancora nasceranno da zero. Prepararsi a questo futuro significa orientare fin da ora formazione e sistema produttivo verso i settori in espansione (tech, dati, green integrato a AI, servizi avanzati) e supportare lavoratori e imprese nella transizione. Se ben governata, l’intelligenza artificiale potrà rivelarsi un alleato per la crescita occupazionale in Italia, creando lavori più qualificati e liberando le persone dai compiti più gravosi e monotoni. La sfida è aperta: sta a noi trasformare il rischio in opportunità, affinché l’IA sia davvero al servizio dei lavoratori e non viceversa (Ai, spinge la crescita dell’Italia: quali sono i lavori più a rischio | Sky TG24) (Ai, spinge la crescita dell’Italia: quali sono i lavori più a rischio | Sky TG24).
Nota:
Questo articolo è stato realizzato grazie alla modalità Approfondisci di ChatGPT, uno strumento avanzato che integra analisi e dati aggiornati per esplorare in profondità argomenti complessi e di grande attualità.
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